riflessione scrittura venezia

riflessione scrittura venezia

Ieri dal mio diario: «Quante stupidaggini si dicono e si scrivono. A volte credo sarebbe meglio tacere una volta per tutte, smettere di distribuire a destra e a sinistra il proprio disordine. Alcuni mesi fa a Venezia, ormai per me una città distrutta, mi rintano in un sordido bar dopo aver rubato dalla libreria di Stefano Genzowich "Lettera di Lord Chandos" di Hofmannsthal. Lo leggo dall'inizio alla fine, con il cuore che mi batte come un tamburo, e la sensazione - dopo mesi! - d'aver tra le mani qualcosa di autentico. Leggevo veramente; con tutto il corpo proteso verso la pagina, sentendomi inquieta, viva, penetrata da parte a parte da una spada. Allora ho capito: solo in un dato momento è possibile cominciare davvero a scrivere ed è quanto, contro ogni previsione, non se ne capisce più il significato. Quando non si è più capaci di imbrigliare nulla in un concetto, solo allora comincia il lavoro. Uno lascia spazio al nuovo vuoto che lo abita, e da quella voragine escono parole che non hanno a che fare con nessuno, né con gli altri né con se stessi. A quel punto capiamo l'essenziale: che oggi davvero non abbiamo più niente, solo la scrittura, che è tutto ciò che ci resta, pur senza ragione. Non possediamo né accadimenti né idee ma solo certe parole, tra milioni di altre, che mantengono ancora una loro plasticità come gli oggetti e gli episodi di un tempo. E rinunciando ad esprimerci, come fa Hofmannsthal, finalmente scriviamo come mai ci eravamo immaginati di fare: vedendo in trasparenza i nostri pensieri, scorgendo il buio vischioso sul quale strisciano, fino a scoprire l'immagine misteriosa che li ha generati. Sarà fondamentale non cercare di rivelare il segreto di quell'immagine - che d'altronde a quel punto noi sapremo benissimo di non conoscere.»